Gli effetti dell’epidemia da COVID-19 sui contratti nazionali e internazionali

Gli effetti dell’epidemia da COVID-19 sui contratti nazionali e internazionali

a cura di avv. Simone Scelsa, avv. Davide Matteo Ripamonti e dott.ssa Giorgia Renne

L’inaspettato propagarsi del virus COVID 19 e le misure adottate dalle varie autorità nazionali per contrastarne la diffusione stanno avendo un’indubbia incidenza sull’attività produttiva nei vari stati coinvolti, rendendo più complesso l’approvvigionamento delle merci e l’organizzazione dell’attività lavorativa. 

Occorre quindi comprendere se tali provvedimenti possano avere un’incidenza sui contratti nazionali e internazionali stipulati delle imprese operanti nei suddetti territori, le quali potrebbero ritrovarsi nella condizione di non poter adempiere alle obbligazioni contrattuali assunte. 

Le soluzioni adottate convenzionalmente dalle parti

Qualora una società dovesse riscontrare delle difficoltà a eseguire un contratto a causa delle sopraccitate misure di contenimento, il primo passo da compiere sarebbe quello di analizzare il testo contrattuale sottoscritto per individuare eventuali clausole applicabili al sopraggiungere di un evento imprevedibile e straordinario quale può essere il verificarsi di una pandemia.

Nello specifico, a rilevare sono due tipologie di clausole: le clausole di forza maggiore e le cosiddette hardship clauses.

Le clausole di forza maggiore sono definibili come quelle pattuizioni con cui le parti concordano gli effetti derivanti dall’insorgere di circostanze imprevedibili in grado di rendere impossibile, in tutto o in parte, una delle prestazioni oggetto di contratto. Tendenzialmente, questa tipologia di clausole permette alla parte colpita dalla circostanza sopravvenuta di ottenere una dilazione dei termini inizialmente previsti o, nelle ipotesi di impossibilità definitiva, la risoluzione del contratto concluso. 

Si è soliti invece parlare di hardship clauses in relazione a quelle disposizioni contrattuali con cui le parti pattuiscono le conseguenze derivanti dal sopraggiungere di un evento imprevedibile in grado di incidere sull’equilibrio del sinallagma contrattuale rendendo la prestazione dovuta da uno dei contraenti particolarmente onerosa o difficile. La distinzione con le clausole di forza maggiore è quindi individuabile nel fatto che la pattuizione qui considerata è volta a disciplinare l’ipotesi in cui, per effetto della circostanza sopravvenuta, l’esecuzione del contratto non risulta impossibile, ma semplicemente più complessa. Ad ogni modo, anche in questo caso i contraenti possono prevedere come conseguenza dell’evento sopravvenuto la risoluzione del contratto stipulato o l’obbligo per i contraenti di adeguare le prestazioni che ne costituiscono l’oggetto.  

Tuttavia, quello che preme evidenziare è che la previsione nel testo contrattuale di una delle clausole sopraccitate non comporta l’automatico verificarsi delle conseguenze da queste previste. 

In primo luogo, infatti, tali pattuizioni sono solite contemplare un onere in capo alla parte colpita dalla circostanza sopravventa, la quale è di norma tenuta a comunicare all’altro contraente, in un termine prestabilito, il sopraggiungere dell’evento considerato, e questo dando prova di quanto dedotto. Il mancato adempimento di tale onere può avere conseguenze molto gravi, come l’impossibilità di invocare la forza maggiore o l’obbligo di risarcire il danno maturato a causa del ritardo nell’inoltrare la comunicazione richiesta.    

Al fine di evitare contenziosi occorre inoltre accertare se le misure adottate per contrastare la diffusione del virus COVID-19 abbiano avuto effettivamente un’incidenza sull’esecuzione della prestazione oggetto di contratto tale da rendere la stessa eccessivamente onerosa o impossibile: i provvedimenti adottati dalle autorità italiane non hanno infatti comportato la paralisi di ogni attività produttiva, sicché le difficoltà riscontrate dovranno essere debitamente documentate. In altri termini, nonostante i provvedimenti adottati per contrastare la diffusione del virus COVID-19 siano astrattamente idonei a configurare un evento straordinario e imprevedibile, la sua rilevanza in relazione all’esecuzione del singolo contratto dovrà essere oggetto di specifica prova. 

Nello specifico, in questo contesto rileverà il concetto di factum principis, espressione con cui vengono definite le ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione determinate dall’adozione di un provvedimento autoritativo di natura legislativa o amministrativa. 

La gestione delle circostanze sopravvenute nell’ordinamento italiano

L’art. 1372 del codice civile italiano prevede espressamente che “il contratto ha forza di legge tra le parti”: ne consegue che l’accordo raggiunto dai soggetti contraenti deve necessariamente essere rispettato e ciò a prescindere dal mutamento della situazione di fatto a questo sottesa. Tale principio, tuttavia, incontra delle importanti eccezioni

Tra queste, ad assumere una particolare rilievo nell’ambito della crisi attuale sono le disposizioni volte a disciplinare l’insorgere di circostanze sopravvenute in grado di incidere sull’equilibrio delle prestazioni oggetto di contratto. Si tratta, quindi, di norme destinate a trovare applicazione anche nell’ipotesi in cui il contratto non contempli una delle clausole sopra richiamate. 

L’art. 1218 c.c., nel disciplinare la tematica dell’inadempimento, dispone che “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. Parimenti, l’art. 1256 c.c. prevede che “l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile”. Se l’impossibilità riscontrata risulta poi essere di natura temporanea, questa avrà il solo effetto di giustificare il ritardo del debitore, fatta l’eccezione in cui la stessa non perduri fino a quando “il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”: in questo caso, infatti, l’obbligazione sarà destinata ad estinguersi. 

In altri termini, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione comporta l’estinzione del rapporto obbligatorio ed è in grado di giustificare la mancata esecuzione della prestazione dovuta dal soggetto debitore o il ritardo nel compimento della stessa. 

In ambito contrattuale, i sopra esposti principi sono ribaditi dall’art. 1463 c.c., il quale individua come conseguenza dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione la risoluzione del contratto stipulato. Anche in questo caso, l’impossibilità parziale della prestazione comporterà un semplice adeguamento del contratto, ma questo a condizione che la parte non colpita dall’impossibilità sia interessata a ottenere un adempimento parziale: qualora così non fosse, anche l’impossibilità parziale comporterà lo scioglimento del vincolo contrattuale. 

Anche in tale contesto, tuttavia, vale quanto rilevato in precedenza: le disposizioni richiamate possono essere invocate solamente nel caso in cui la parte contraente risulti in grado di dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante dall’adozione delle misure volte a contrastare la diffusione del virus COVID-19. Solo in questo caso, infatti, sarà possibile ottenere la risoluzione del contratto concluso o evitare di essere chiamati a rispondere del ritardo nell’esecuzione della propria prestazione. 

Le stesse considerazioni valgono anche per quanto concerne l’art. 1467 c.c., il quale disciplina l’ipotesi in cui, nell’ambito di un contratto a esecuzione continuata, periodica o a esecuzione differita, la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di un avvenimento straordinario e imprevedibile: una categoria alla quale può certamente essere ascritto il diffondersi di una pandemia come quella in atto. Anche in tal contesto, il rimedio individuato dal nostro ordinamento è quello della risoluzione del contratto, fermo restando che la parte contro cui è stata chiesta la risoluzione può sempre proporre l’adeguamento del contratto concluso. 

In conclusione, la mancata previsione di una clausola di forza maggiore o di una hardship clause non esclude che il fenomeno COVID-19 possa assumere rilevanza in relazione al contratto stipulato e questo poiché la parte contraente potrebbe comunque essere in grado – alle condizioni sopra illustrate – di ottenere la risoluzione del contratto concluso o di evitare una propria responsabilità per il ritardo maturato.

Le disposizioni richiamate sono ovviamente applicabili a tutti i contratti nazionali e a quei contratti internazionali soggetti alla legge italiana. 

La gestione delle sopravvenienze nei contratti internazionali

L’attuale pandemia dovuta alla diffusione del COVID-19 sta avendo un notevole impatto anche sui rapporti commerciali internazionali. 

Ne è un esempio emblematico la Cina, dove l’epidemia in atto ha messo seriamente in crisi le imprese pubbliche e private, le quali si sono ritrovate nelle condizioni di non poter adempiere agli obblighi contrattualmente assunti con i propri partner commerciali stranieri. Al fine di porre un rimedio a tale situazione, il China Council for the Promotion of International Trade (CCPIT) ha predisposto degli appositi “certificati di forza maggiore”, i quali dovrebbero costituire per le imprese cinesi – almeno nelle intenzioni delle Autorità nazionali – un’esimente per non eseguire le obbligazioni assunte nei termini concordati. Si tratta, tuttavia, di documenti inidonei a vincolare gli organi giurisdizionali dei Paesi esteri, i quali saranno liberi di valutare autonomamente se la pandemia in atto può essere ascritta alla categoria degli eventi di forza maggiore. 

A livello sovranazionale assume un particolare rilievo la Convenzione delle Nazioni Unite sulla compravendita internazionale di merci adottata nel 1980 a Vienna, il cui articolo 79 prevede che un contraente non può essere ritenuto responsabile di inadempimento contrattuale se la mancata esecuzione della prestazione a lui facente capo deriva da un impedimento indipendente dalla sua volontà che non poteva ragionevolmente essere previsto al momento della conclusione del contratto. È tuttavia necessario precisare come la Convenzione di Vienna imponga altresì l’obbligo di dare tempestivo avviso alla propria controparte in merito all’evento sopravvenuto e alla conseguente impossibilità ad adempiere al contratto.  

Per quanto concerne, invece, i sistemi di common law, manca un apparato normativo come quello italiano volto a disciplinare la gestione delle sopravvenienze in ambito contrattuale.

In tali sistemi, infatti, il concetto di forza maggiore non è riconosciuto, con la conseguenza che questo non potrà essere invocato dai contraenti a meno che tale facoltà non sia stata espressamente prevista in sede contrattuale.  Occorre tuttavia segnalare come le teorie della “frustration” inglese e dell’ “impractibility” americana costituiscano un evidente allontanamento della rigidità che ha da sempre caratterizzato i sistemi di common law, potendo le stesse portare allo scioglimento del vincolo contrattuale a seguito di eventi sopravvenuti e imprevedibili in grado di incidere sull’esecuzione del contratto. 

 

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