Onere della prova nelle cause di medical malpractice

Onere della prova nelle cause di medical malpractice

a cura di avv. Simone Scelsa e dott.ssa Giorgia Renne

Nelle sentenze nn. 28991 e 28992 pronunciate in data 11 novembre 2019 la Corte di cassazione affronta la delicata questione della ripartizione dell’onere della prova nei giudizi di medical malpractice.

La Suprema Corte spiega che in caso di inadempimento di obbligazioni di facere professionale – diversamente dallo schema tipico degli obblighi di facere e dare – bisogna distinguere tra causalità e imputazione.

Pertanto, è necessario effettuare un duplice ciclo causale:

  • in primo luogo, il paziente deve non solo allegare, ma altresì fornire prova, anche mediante presunzione, della c.d. causalità materiale: essa corrisponde alla connessione naturalistica e probabilistica presente tra il pregiudizio alla salute personalmente sofferto (in termini di aggravamento della situazione patologica e dell’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, la cui inadempienza può essere anche solo oggetto di allegazione;
  • solo qualora venga raggiunta la prova della causalità materiale sorgerà l’onus probandi del sanitario, il quale dovrà dimostrare o il proprio adempimento ovvero che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità (per causa esterna imprevedibile e inevitabile) a lui non imputabile: “se la prova della causa di esonero è stata raggiunta vuol dire che l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di una nuova patologia è sì eziologicamente riconducibile all’intervento sanitario, ma il rispetto delle leges artis è nella specie mancato per causa non imputabile al medico”.

Con le sopracitate pronunce viene data continuità a un orientamento della Corte di legittimità consolidatosi col tempo (in senso conforme, ex plurimis, Cass. sent. n. 18392/2017; Cass. sent. 5487/2019; Cass. sent. n. 29853/2018). Tuttavia, le due fattispecie sottoposte alla Suprema Corte hanno una particolarità: in entrambi i casi parte creditrice (il paziente danneggiato o i suoi aventi causa), non era riuscita a rinvenire quale fosse la causa dell’aggravamento della condizione di salute o dell’insorgenza di nuove patologie. Ci si domanda allora su chi gravi il rischio della “causa ignota”?

La Cassazione precisa che, in tema di obbligazioni di diligenza professionale, le regole di ripartizione dell’onus probandi di cui all’art. 2697 c.c. assumono rilievo solo nel caso in cui la causa resti ignota:

 

secondo la Suprema Corte infatti “la mancanza, in seno alle risultanze istruttorie, di elementi idonei all’accertamento, anche in via presuntiva, della sussistenza o insussistenza del diritto in contestazione determina la soccombenza della parte onerata della dimostrazione rispettivamente dei relativi fatti costitutivi o di quelli modificativi o estintivi”.

 

Ciò significa che:

    • se, anche mediante il ricorso a presunzioni, rimane ignota la causa dell’evento danno, gli effetti pregiudizievoli ai fini del giudizio ricadranno sul paziente-creditore della prestazione di diligenza professionale;
  • se invece resta ignota la causa di impossibilità sopravvenuta non imputabile al debitore della prestazione sanitaria, oppure non provata l’imprevedibilità e inevitabilità della causa stessa, le conseguenze sfavorevoli ricadranno sul medico.
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