Risarcimento del danno ai nipoti per la perdita del nonno

Risarcimento del danno ai nipoti per la perdita del nonno

a cura di avv. Simone Scelsa e dott.ssa Giorgia Renne

Negli ultimi anni la Cassazione è intervenuta spesso in tema di riconoscibilità ai nipoti del risarcimento del danno per la perdita del nonno. A riguardo, di fondamentale importanza sono certamente le pronunce nn. 21230/2016 e 4499/2019 con cui la Corte degli Ermellini ha definitivamente superato l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi nel 2012.

Tale orientamento traeva origine dalla sentenza della Suprema Corte n. 4253/2012, secondo cui il risarcimento del danno per perdita del congiunto poteva essere riconosciuto ai parenti estranei al nucleo familiare ristretto soltanto in caso di convivenza tra questi ultimi e la vittima primaria. La coabitazione era, pertanto, “connotato minimo” a dimostrazione della profondità della relazione parentale, fondata su reciproco affetto, solidarietà e sostegno economico.

La ratio di tale orientamento era scongiurare l’ingiustificata dilatazione della cerchia delle vittime cosiddette secondarie.

Con sent. n. 21230/2016 la Corte di legittimità chiarisce che, al fine di provare l’intensità del rapporto intercorrente tra nonni e nipoti, la convivenza può certamente costituire elemento probatorio utile, ma non esclusivo. La Cassazione rileva che la perdita di un congiunto comporta inevitabilmente la lesione di valori costituzionalmente protetti, lesione che può riguardare non solo i membri del nucleo familiare ristretto, ma tutta la famiglia quale “società naturale” di cui all’art. 29 Cost. In senso conforme, ex multis, Cass. sent. n. 29332/2017, Cass. sent. n. 18069/2018 e, da ultimo, Cass. ord. n. 4499/2019.

Con queste pronunce, la Cassazione intende chiarire che i familiari non appartenenti al nucleo ristretto (ad es. nonni, nipoti, genero, nuora) possono dimostrare l’intensità della relazione con la vittima primaria – e così la sofferenza patita conseguentemente alla sua perdita – anche mediante prove diverse dall’allegazione della convivenza.

 

Queste prove (anche di tipo presuntivo) devono consentire la verifica di un’effettiva frequentazione e di costanti contatti tra il de cuius e i suoi congiunti non propriamente prossimi, di modo che si possa presumere il dolore patito da questi ultimi per la morte del primo.

Con ordinanza n. 4499/20199 la Suprema Corte ha voluto ribadire l’importanza, nelle fattispecie in esame, dell’allegazione e della prova dell’effettività della relazione parentale ai fini del riconoscimento del risarcimento del danno tanatologico: infatti, con questo provvedimento la Cassazione dichiarava inammissibile la richiesta di risarcimento del danno – già rigettata nei precedenti gradi di giudizio – per la morte del nonno avanzata dai nipoti, i quali non avevano tuttavia né allegato né provato il fatto che con l’ascendente vi fosse un rapporto assiduo con frequenti contatti, tale da far presumere la presenza di un reciproco legame affettivo.

È opportuno svolgere un’ultima precisazione in merito alla liquidazione del danno tanatologico. Nelle Tabelle Milanesi – cui le Sezioni Unite, con sentenza n. 12408/2011, hanno attribuito portata paranormativa – non sono inseriti i valori monetari per il danno subito dal nipote per la morte del nonno (è inserito unicamente l’inverso). Tuttavia, ciò non significa che non sia ammessa la risarcibilità del danno per la perdita di questo rapporto parentale, ma solo che non vi è ancora un numero sufficiente di precedenti per predisporre un’apposita tabella. E infatti, con sentenza n. 7864/2019 il Tribunale di Milano liquidava in favore di ciascuno nipote €.25.000,00 per la perdita del nonno anziano, sulla base della presunzione della sussistenza di “un rapporto affettivo e di relazione…non meramente formale ma neanche particolarmente intenso o pregnante”.

Condividi sui social